La settimana del piccolo elfo
Nessuno al mondo sa raccontare tante storie come Serralocchi. E come le racconta bene!. Verso sera, quando i bambini sono seduti tranquillamente a tavola o sulla loro seggiolina, Serralocchi arriva. Non lo si ode salire la scala, perché ha le pantofole di velluto; apre adagio, adagio la porta e, appena entrato, butta del latte negli occhi dei bambini con molta delicatezza e nello stesso tempo in tale quantità ch’essi non possano vederlo. Scivola dietro a loro, soffia loro nel collo, cosa che rende la testa pesante,si, ma questo non fa male.
Il piccolo Serralocchi non ha cattive intenzioni, vuole soltanto che i bambini siano buoni, e i bambini lo sono soltanto quando dormono.
Vuole che siano buoni e tranquilli per poter raccontare le sue storie che sono sempre molto belle e divertenti. Quante ne conosce!. Appena i bambini sono addormentati, Serralocchi siede sul loro lettino.
E’ molto ben vestito: indossa un abitino di seta di un colore indefinibile, a riflessi verdi, rossi, blu, secondo da che lato lo si guarda. Sotto ogni braccio ha un parapioggia:uno ornato di belle figure, lo apre sulla testa dei bambini buoni, e allora essi sognano tutta la notte bellissime storie; l’altro, lo apre sulla testa dei bambini cattivi, e così essi non sognano nulla.
Serralocchi, per una settimana, andò tutte le sere a trovare un bambino che si chiamava Ialmar; ed ecco le storie che gli raccontò: sette come i giorni della settimana. Se volete potete ascoltarle anche voi e…buon divertimento.
Lunedì.
– Ascolta, – disse Serralocchi la sera, dopo che Ialmar fu coricato – incomincia il mio compito.
In quel momento i fiori nei vasi divennero alberi e distesero i loro rami fin sul tappeto e sulle pareti, in modo che la camera sembrò un boschetto. Tutti i rami erano coperti di fiori, e ogni fiore era più bello di una rosa ed esalava un profumo squisito. Vi erano anche frutti che brillavano come l’oro, e dolci ripieni d’uva. Tutto era meraviglioso, di una bellezza incomparabile. Ma improvvisamente, dal cassetto dove Ialmar teneva i suoi libri, uscirono grandi lamenti.
– Che cosa succede?- domandò Serralocchi.
Corse al tavolo e aprì il cassetto: qualche cosa si moveva disperatamente sull’ ardesia di una lavagnetta: era un numero sbagliato nell’operazione. Il gessetto si staccò dallo spago che lo teneva legato come un cagnolino, e cercò di correggere l’operazione, ma non vi riuscì.
Nello stesso tempo, anche dai quaderni di Ialmar si levarono dei lamenti. Era terribile! Dall’alto in basso, su ogni pagina, vi erano grandi lettere che erano servite da modello; vicino ad esse le lettere scritte da Ialmar erano coricate, come se le avessero fatte cadere dalla riga su cui dovevano star ritte.
– Su, – dicevano le lettere modello – state diritte, un po’ di dignità!
– Lo vorremmo ben volentieri, – rispondevano le lettere di Ialmar – ma non possiamo, siamo ammalate.
– In questo caso vi daremo una medicina.
– Oh, no! – gridarono le lettere rialzandosi così vivacemente che erano deliziose a vedersi.
– Ora non ho tempo di raccontare storie – disse Serralocchi. – Devo fare gli esercizi di ginnastica a queste poverette. Uno, due! Uno, due!
E fece fare tanta ginnastica alle lettere ch’esse finirono con il prendere una posizione eretta e graziosa come quella delle lettere modello.
– Finalmente! – gridò Ialmar felice.
Allora Serralocchi se ne andò; quando all’indomani Ialmar si svegliò, andò subito a guardarle, ma con grande disappunto le trovò ammalate come prima.
Martedì.
Appena Ialmar fu a letto, Serralocchi toccò con la sua bacchetta incantata i mobili della camera, che incominciarono subito a chiacchierare. Sopra il cassettone era appeso un grande quadro in cornice dorata, che rappresentava un paesaggio. Vi si vedevano vecchi alberi enormi, fiori tra l’erba e un largo fiume che, girando intorno alla foresta, passava davanti a diversi castelli e andava poi a sfociare nel mare agitato.
Serralocchi toccò il quadro con la sua bacchetta magica, e improvvisamente gli uccelli presero a cantare, i rami si mossero e le nuvole si misero a correre.
Allora Serralocchi alzò il piccolo Ialmar fino al quadro e lo posò in mezzo all’erba alta.
Egli corse verso l’acqua e sedette su una barchetta dipinta di rosso e di bianco. Le vele brillavano come l’argento, e una mezza dozzina di cigni, con collane d’oro intorno al collo e una stella azzurra sulla testa, trascinarono la barca davanti alla verde foresta, dove gli alberi raccontavano storie di briganti e i fiori ripetevano le avventure degli elfi e le belle parole che avevano udite dalle farfalle. Bellissimi pesci coperti di scaglie d’oro e d’argento seguivano la barca: di quando in quando facevano rapidi guizzi e l’acqua cantava intorno a loro. Le zanzare danzavano, i maggiolini ronzavano, tutti volevano accompagnare Ialmar e tutti avevamo delle favole da raccontagli.
Era proprio una bella gita! Qua e là si vedevano castelli di vetro e di marmo, le principesse si curvavano ai balconi: erano tutte ragazzine che Ialmar conosceva e con le quali aveva spesso giocato.
Ognuna porgeva al viaggiatore un biscotto a forma di cuore. Ialmar afferrò l’angolo di un cuore, ma la principessa lo teneva così stretto che il biscotto si spezzò, e ne ebbero ognuno un pezzetto, la principessa il più piccolo, Ialmar il più grosso.
A un tratto il bambino passò dalla città in cui abitava la balia che lo aveva tanto amato; ella lo riconobbe, e gli cantò dei versi composti da lei stessa. Ascoltandola, i fiori si dondolavano sul loro esile stelo, i vecchi alberi chinavano la testa, proprio come se il piccolo elfo Serralocchi raccontasse le sue belle storie.
Mercoledì.
Come pioveva! Ialmar udiva la pioggia cadere mentre dormiva. Serralocchi aprì la finestra: fuori tutto era diventato un grande lago, e vicino alla casa era ancorato un bastimento.
– Vuoi venire con me, piccolo Ialmar? – disse Serralocchi. – Potrai arrivare questa notte stessa in paesi stranieri!
A un tratto Ialmar, con il suo vestito della domenica, si trovò sul bastimento; il tempo si rimise al bello, ed essi attraversarono il grande lago. Navigarono a lungo, finché ebbero perso di vista la terra. Improvvisamente scorsero uno stormo di cicogne che lasciavano anch’esse le loro case per andare nei paesi caldi.
Ve n’era una così stanca che le ali non la reggevano più, era l’ultima della fila. Improvvisamente si abbassò con le ali aperte, sfiorò i cordami del bastimento, scivolò lungo le vele e cadde sul ponte. Un mozzo la prese e la mise nel pollaio. La povera cicogna era molto imbarazzata fra quegli animali.
– Com’è grossa! – esclamarono le galline.
Il gallo si gonfiò più che poté e le chiese chi fosse. Le anatre indietreggiarono di qualche passo dicendo con superbia:
– Che roba è questa?
Allora la cicogna disse chi era e parlò dei suoi lunghi viaggi: raccontò dell’Africa ardente, delle piramidi, dello struzzo che, simile a un cavallo selvaggio, corre nel deserto infuocato. Ma le anatre non capirono e si fecero ancora più altezzose.
– Siamo tutti d’accordo nel pensare che è stupida – sentenziarono.
Allora la cicogna tacque e pensò solo alla sua Africa.
– Che zampe! – osservò un tacchino. – Quando le hai pagate al metro?
– Kuan, kuan, kra, kra- fecero le anatre minacciose, ma la cicogna sembrava non accorgersene.
– Perché non ridi con noi?- continuò il tacchino. – La mia domanda non ti sembra spiritosa? Forse è troppo intelligente per te. Come sei ottusa!
Detto questo fece glu, glu, glu, e le anitre fecero kuan, kuan. Come si divertivano! Ma Ialmar andò verso il pollaio, aprì la porta e chiamò la cicogna, che saltò verso di lui per ringraziarlo. Poi aprì le ali e volò verso i paesi caldi. Le galline starnazzarono, e la cresta del gallo si fece rossa come il fuoco.
– Domani faremo un buon pasto, con voi! – disse allora Ialmar, e si svegliò.
Che strano viaggio gli aveva fatto fare quella notte il piccolo elfo Serralocchi!.
Giovedì.
– Ascolta – disse Serralocchi – e non aver paura: ti voglio mostrare un sorcetto.
E gli mostrò una graziosa bestiola che aveva in mano.
– E’ venuto per invitarti a un matrimonio: stanotte si sposano due sorcetti: essi abitano sotto la finestra della sala da pranzo e hanno una bellissima casa. Credo che rimarrebbero molto male se tu non accettassi il loro invito.
– Ma come potrò entrare attraverso un buco tanto piccolo?
– Lascia fare a me, ti renderò così sottile che ci passerai – rispose Serralocchi che sapeva il fatto suo.
Toccò Ialmar con una bacchetta incantata, e il bambino incominciò a rimpicciolire, finché fu ridotto alle dimensioni di un dito.
– Prendi ora i vestiti di uno dei tuoi soldatini di piombo: ne troverai certamente uno alto come te. E’ bello indossare l’uniforme quando si va a una festa importante.
– E’ vero – disse Ialmar; e presto fu vestito come il bel soldatino di piombo.
– E adesso entra nel ditale di tua mamma – intervenne il sorcetto – e io ti trascinerò.
Così, dopo aver attraversato un grande viale illuminato a giorno, arrivarono alla festa di nozze dei sorcetti.
– Non senti che buon odore? – chiese il sorcetto che lo trascinava. – tutto il viale è stato unto di lardo.
Quindi entrarono nella sala. A destra erano raggruppate tutte le signore sorcette, e chiacchieravano tra di loro, come se ognuna si divertisse a prendere in giro la vicina; a sinistra erano riuniti i sorcetti, i quali si accarezzavano i baffi con le zampine. In mezzo alla sala c’erano gli sposi: stavano in piedi su una fetta di formaggio e si guardavano felici.
La sala, come il viale, era stata unta di lardo e l’odore saziava i presenti come un pranzo. La frutta consisteva in un grosso pisello verde su cui un sorcetto aveva inciso coi denti le iniziali degli sposi. La conversazione era varia e divertente. Tutti i sorci dichiararono che non si era mai vista festa di nozze più bella.
Ialmar tornò a casa nel ditale. Era felice d’essere stato invitato da persone tanto distinte, anche se era stato costretto a diventare piccolo, piccolo e a rivestire la divisa di uno dei suoi soldatini di piombo.
Venerdì.
– E’ incredibile – disse Serralocchi – quanta gente anziana desideri vedermi! Sono soprattutto le persone cattive. ” Carissimo,” mi dicono quando non possono dormire ” non possiamo chiudere occhio: tutta la notte sfilano davanti a noi le nostre cattive azioni, sotto forma di stregoni che ci lanciano addosso acqua bollente. Se tu venissi a scacciarli e a procurarci un buon sonno! ” E aggiungono: ” Ti pagheremmo bene, Serralocchi, il denaro è già contato vicino alla finestra”.
Ma io non faccio nulla per denaro – concluse il piccolo elfo.
– Allora, questa notte che cosa faremo? – chiese Ialmar.
– Se ne hai voglia, andremo a un’altra festa di nozze, ma molto diversa da quella di ieri sera. Il bambolotto di tua sorella, quello che si chiama Ermanno, si deve sposare con la bambola Berta; inoltre è anche il compleanno della bambola, perciò avranno magnifici regali.
– Ah, so di che cosa si tratta – disse Ialmar. – Tutte le volte che le bambole hanno bisogno di vestiti nuovi, mia sorella dice che è il loro compleanno, oppure che devono sposarsi. E’ la centesima volta che questo accade.
– Ebbene, questa sera sarà la centunesima. Guarda un po’ da quella parte, ora.
Ialmar volse gli occhi verso il tavolo. La casa di cartone era tutta illuminata; fuori, i soldatini di piombo presentavano le armi. I fidanzatini stavano seduti sul pavimento tutti pensierosi ( e avevano le loro buone ragioni ).
Serralocchi, vestito con l’abito nero della nonna, li sposò. Quando il matrimonio fu celebrato, i mobili della camera cantarono una bella canzone. Poi gli sposi ricevettero i regali, ma rifiutarono gentilmente i cibi, poiché il loro amore bastava a nutrirli.
– Che facciamo, adesso? Cerchiamo una casa per la villeggiatura oppure viaggiamo? – chiese lo sposo.
La bambola Berta non sapeva cosa rispondere. Allora consultarono la rondine, vecchissima viaggiatrice, e una vecchia gallina che aveva covato le uova cinque volte.
La rondine parlò di paesi dove l’aria è sempre mite.
– In quei paesi, però – disse la gallina – non ci sono i buoni cavoli rossi!
– Qui, però, fa sempre cattivo tempo.
– E’ un clima che fa bene ai cavoli – riprese la gallina. E continuò con severità: – Colui che trova dei difetti al nostro paese non merita di abitarci.
– La gallina è ragionevole -disse la bambola Berta. – E’ meglio andarci a stabilire fuori porta, passeggeremo nel giardino dei cavoli rossi.
E cosi fecero.
Sabato.
– Mi racconti una favola? – chiese Ialmar, appena Serralocchi lo ebbe addormentato.
– Questa sera non ho tempo – rispose il piccolo elfo aprendo sul bambino il suo magnifico parapioggia.
– Guarda un po’ questi cinesi. Ti piacerebbe essere vestito come loro?- Ialmar allungò il collo per vedere meglio.
– Si, – rispose – mi piacerebbe soprattutto quel largo cappellone di paglia!
Il parapioggia assomigliava a una grande coppa cinese coperta di alberi blu e di ponti aguzzi formicolanti di cinesi, che continuavano a farsi graziosi inchini.
– Domani è domenica, – continuò Serralocchi – e devo sbrigare parecchi lavoretti. Devo salire sul campanile per vedere se le campane sono ben pulite, perché possano dare un suono gradevole, devo andare nei campi a vedere se il vento ha tolto bene la polvere all’erba e alle foglie, e poi devo andare a prendere le stelle per lucidarle. Le metto nel mio grembiule, ma le devo contare tutte e numerare il buco nel quale sono incastrate. Se non facessi così potrei sbagliarmi nel rimetterle a posto, e allora ci sarebbero troppe stelle cadenti.
Ialmar lo guardava con gli occhioni spalancati per la meraviglia.
– Sentite, caro signor Serralocchi, – disse a un tratto un vecchio, dal ritratto appeso alla parete – sono il bisnonno di Ialmar; vi ringrazio perché gli raccontate tante belle storie, ma non vorrei che lo esaltasse. Com’è possibile staccare le stelle per lucidarle?
– Grazie del consiglio, vecchio bisnonno, – disse Serralocchi – ma non ne avevo bisogno; tu sei il capo della famiglia, è vero, ma io sono più vecchio di te, io sono un vecchio pagano. I Romani e i Greci mi chiamavano il dio dei sogni. Sono sempre stato ricevuto nelle migliori famiglie e lo sono ancora. So benissimo come si devono trattare tanto i grandi quando i piccini. D’altra parte, se ce la fai, racconta tu le favole.
– Ma guarda, ma guarda! – brontolò il vecchio dal ritratto. – Adesso non è neppure più permesso esprimere il proprio parere.
Serralocchi, seccato, chiuse il suo ombrello, e Ialmar si sveglio di colpo.
Domenica.
– Buona sera – disse Serralocchi, entrando pian, piano, nella stanza di Ialmar.
Il bambino lo salutò, poi corse alla parete a voltare il ritratto del bisnonno, perché non si intromettesse più nella conversazione.
– Adesso raccontami una bella storia.
– No, non dobbiamo esagerare con le favole – rispose Serralocchi, e preso in braccio il piccolo Ialmar, lo portò alla finestra dicendo:
– Ora, invece ti presento mio fratello, l’altro Serralocchi. Lo vedi? Ha una bella divisa da ussaro, tutta ricamata d’argento e una cappa di velluto nero che ondeggia dietro di lui. Guarda come viene al galoppo.
Ialmar vide il fratello di Serralocchi portare sul suo cavallo una quantità di persone. Alcune le metteva davanti a sé, altre dietro, e diceva a tutte:
– Aprite i vostri quaderni: voglio vedere se avete meritato buoni voti.
– Buonissimi – rispondevano tutti tenendo ben stretti i loro quaderni.
– Voglio vedere io stesso.
Tutte le persone in groppa furono costrette a mostrare i lo voti. Coloro che avevano bene o benissimo presero posto sul davanti del cavallo e udirono storie meravigliose; coloro che avevano mediocre, o cattivo salirono dietro e dovettero ascoltare storie terrificanti: tremavano e piangevano, volevano saltare giù da cavallo, ma non potevano: una strana forza li costringeva a rimanere dov’erano.
– Tuo fratello – disse Ialmar a Serralocchi – mi sembra magnifico e io non ho paura di lui.
– Hai ragione – rispose il piccolo elfo – ma cerca di avere sempre buoni voti sul tuo quaderno.
– Ecco una cosa molto istruttiva – mormorò il bisnonno dal ritratto – Questa storia è proprio utile francamente è la mia opinione.
E parve soddisfatto.
Questa è la storia del piccolo elfo Serralocchi; e se torna stasera, ti racconterà altre favole. Ma, mi raccomando, sii buono, altrimenti non sognerai nulla!